Mi piace molto il quartiere di case popolari dove c’è l’ambulatorio.
Mi piace perché i vecchi sono tutti siciliani, calabresi, napoletani e pugliesi e non parlano italiano.
Mi piace perché i giovani sono tutti nordafricani o moldavi o indiani e parlano italiano meglio dei vecchi.
Mi piace che quando diventano troppo invadenti li devo sgridare, li devo spostare fisicamente nella sala d’attesa, se no girano come nugoli di api impazzite intorno alla mia scrivania.
Mi piace che quando tornano troppe volte e dico loro, acida: “Ora fuori e non voglio vedervi più per almeno due settimane!”, non se la prendono e anzi, ridono dicendomi che sono simpatica e che auguro loro buona salute… e comunque non escono, restano lì a chiacchierare con gli altri in coda, creando confusione.
Mi piace che i primi giorni che ero lì pensavano tutti di fregarmi.
Mi piace perché fanno quello che pare a loro, sono indomiti, anarchici, strafottenti.
Mi piace quel quartiere perché quando le persone che ci abitano entrano in ambulatorio, è una festa o una rissa. Si conoscono tutti: 1.500 pazienti in 3 palazzi bianchi (in origine), ora grigi per lo smog. E poi qualcuno ha pensato di disegnarci sopra delle onde colorate… e quando vivi sulle onde, sei socievole, per forza, perché ti aggrappi agli altri, perché non hai terra ferma sotto i piedi, perché vivi con il terremoto dentro e la tua casa non ha più muri.
Mi piace perché i vecchi si vanno a comprare le medicine a turno e le comprano per tutti i vicini di casa… ma quando devono ritirarne la ricetta, si rendono conto che non si ricordano il cognome dei loro amici.
Mi piace da matti, quel quartiere, con i palazzi stretti stretti, vicini in modo soffocante, ossessivamente simili, infilzati in spiedi di strade.
Caserme che sembrano prigioni ma sono più libere di una qualsiasi villa in Brianza…
Mi piace perché quel quartiere è un’unica, immensa casa, tutt’uno con le vie, la farmacia, la latteria, la posta, le persone che passano per le strade. Anche io ne sono parte viva, quando sono lì.
Mi piace perché un giorno qualcuno ci ha costruito un teatro piccolo piccolo e io sono certa che un giorno lo userò per lavoro, perché da quel quartiere, ora che ne sono parte, non mi voglio separare più.